LA NECESSITÀ DI CONTRASTARE L’ONDATA DI XENOFOBIA E ODIO RAZZIALE NELLE PICCOLE E GRANDI DEMOCRAZIE: YULHMA V. BALDERAS ORTIZ.
LA NECESSITÀ DI CONTRASTARE L’ONDATA DI XENOFOBIA E ODIO RAZZIALE NELLE PICCOLE E GRANDI DEMOCRAZIE
di Avv. Yulhma V. Balderas Ortiz
Dottore di ricerca in Diritto pubblico, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”
La presente considerazione si riferisce alla necessità e l’urgenza di introdurre misure per contrastare l’ondata di xenofobia e odio razziale che si sta presentando in diversi parti dal globo, non solo nei piccoli Stati, ma anche nelle grandi democrazie, e che sono arrivate di recente ai nostri occhi da oltre oceano (immagini da diverse città degli Stati Uniti, quali ad esempio, le sfortunate dichiarazioni20 di Donald Trump sugli immigrati messicani; il caso Ferguson, Missouri, in un sobborgo di St. Louis, in cui è stato commesso l’omicidio di Michael Brown21 verificatosi il 9 agosto 2014). Di particolare rilevanza, il caso recente di Charleston22, in Carolina del Sud, il 17 giugno 2015: Dylann Storm Roof, suprematista bianco di 21 anni ha ucciso in una chiesa afroamericana a colpi d’arma da fuoco nove persone, tra cui il senatore democratico Clementa Pickney. Prima di sparare aveva pregato con le vittime. La chiesa dove è avvenuta la sparatoria, la Emmanuel African Methodist Episcopal Church, è una delle più vaste congregazioni di afroamericani nella regione ed una delle più antiche del suo genere nel sud degli Stati Uniti, e per questo è iscritta nel registro nazionale dei luoghi storici. E’ stata fondata nel 1816. Ed uno dei suoi fondatori, Denmark Vesey, ex schiavo, mise a punto un piano di rivolta degli schiavi e per questo fu impiccato e la chiesa distrutta in un incendio appiccato dai supremastisti bianchi. Circostanza che ha portato a far dichiarare al Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama il giorno successivo al 18 giugno che «l’odio razziale è una minaccia per la democrazia»23. Egli ha anche deplorato il fatto che non sia la prima volta in cui si trova a dover parlare di tali questioni, a causa di atti di violenza scatenati dal clima di xenofobia e odio razziale, che si sono verificati negli ultimi anni.
In Europa, invece, su questo argomento, in seguito alla frammentazione del tessuto sociale in conseguenza della crisi economiche, i crescenti flussi migratori dai Paesi nordafricani hanno aumentato i problemi di disagio sociale, che hanno a loro volta generato “piccole guerre” fra i cittadini europei, gli immigrati ed i profughi.
Un problema purtroppo che non è nuovo, come ci ricorda lo scrittore Antonio Monda, nel suo ultimo romanzo Ota Benga: un’America senza santi ed eroi24, secondo la rassegna del libro diffusa dal suo editore, «Monda racconta attraverso il protagonista (Ota Benga) un pigmeo “rubato” all’Africa e impiantato, a forza e contro ogni senso, in America, la terra promessa di inizio ‘900, dove le etnie si mischiavano e si combinavano e dove un sempre più crescente razzismo veniva spacciato per dottrina scientifica. Ota Benga, poi, è anche un simbolo: il simbolo di un’umanità – più che di una società – che non è mai cambiata. Che, nel tempo, è rimasta sempre uguale e, purtroppo, fedele a se stessa. Un’umanità poco umana, profondamente maligna, che gode nel trovare le differenze, sottolinearle e farne non un punto di forza, come invece dovrebbe essere, quanto piuttosto una menomazione: io sono bianco, tu nero; io sono forte, intelligente, migliore; tu no. E quello del colore della pelle è, forse, solo la punta dell’iceberg: perché prima vengono la nazionalità, la cultura, la religione. Negli Stati Uniti descritti da Antonio Monda, ci sono problemi di xenofobia e odio razziale piuttosto spiccati: e sebbene la storia si svolga fino alla fine della prima guerra mondiale, quindi oltre il 1918 a un passo dalla guerra con il terzo Reich, una vera e propria redenzione del genere umano, e più specificamente della cultura americana, non c’è. Ota Benga è un pigmeo, un ragazzo quasi trentenne con “denti di pantera”: diventa un’attrazione. Finisce in una gabbia, allo zoo di New York, esposto insieme a un orango e a uno scimpanzé. Poi viene liberato, forte dell’appoggio e del consenso della comunità nera. Finisce in un altro stato e viene accolto in un orfanotrofio. Impara a conoscere i “demoni bianchi”, a capirli in un certo senso, e in qualche caso riesce anche a fidarsi di loro. Nei suoi occhi, c’è la saggezza antica del mondo: quella che ti insegna che non devi possedere più di quanto ti serva; che per essere felici non è necessario essere ricchi o potenti; che l’amore è un gioco fatto di sguardi. Ota Benga è inizio e fine del racconto di Monda: è la recinzione entro cui lo scrittore si muove per raccontare un’altra storia, quella di Arianna, figlia di immigrati greci e esempio folgorante di emancipazione femminile. In lei, rivivono i contrasti di una società come quella americana. È una dei pochi personaggi di tutto il romanzo a condannare apertamente la teoria dell’uomo bianco “uomo superiore”. È forse l’unica, insieme al missionario che lo condusse dall’Africa agli USA, a interessarsi veramente a Ota Benga, a pensarlo, trattarlo e – cosa non da poco – immaginarlo come un qualsiasi altro essere umano. Monda, forte di una certa tradizione, va tuttavia piano nel suo racconto, non parte per la tangente con qualunquismi e giudizi-sentenza. Si muove piano, descrive, spiega, descrive ancora: della terra promessa che gli italiani, gli irlandesi, i greci e i russi si aspettavano di trovare dopo un viaggio infernale, in alto mare e stipati nella terza classe come porci per il macello e della filosofia inedita, poco pubblicizzata di “che cos’erano gli Stati Uniti prima di diventare gli Stati Uniti”. La patria della libertà e del coraggio, così carica di promesse e speranze che è stata in realtà, nella sua età più giovane, un purgatorio grigio e tormentato, dove anche i suoi uomini più grandi, come lo scrittore Jack London, peccavano di razzismo. Sul piano dell’attualità, su quello che poi, col tempo, gli Stati Uniti sono diventati (e ce ne è voluto prima che la libertà fosse veramente libera, e che gli uomini diventassero tutti uguali, davanti alla legge e alla società), non dà alcun colpo di spugna alla storia. Non la migliora, dal punto di vista umano. E anzi, alla fine, riesce a renderla ancora più difficile da digerire: dando ai nomi dei volti veri, ribadendo che alcune situazioni si sono veramente svolte nel modo in cui le ha raccontate, e raccontando di un’America non così lontana dalla Germania nazista. Ota Benga, lascia un retrogusto amaro, difficile da digerire: è la consapevolezza di quando si capisce che la storia è stata anche peggio di come ce l’hanno raccontata a scuola. Di come gli uomini, tutti gli uomini, alla fine non siano che fedeli alla loro natura animalesca e bestiale, al loro credersi migliori, eletti, nel colore della loro pelle.»
Nel contesto prima descritto sull’ondata di xenofobia e odio razziale che si sta presentando in diversi parti dal globo, non solo nei piccoli stati, ma anche nelle grandi democrazie, torna necessario prendere misure urgenti per salvaguardare e soprattutto coltivare a livello planetario l’eredità di tanti uomini e donne che hanno scritto pagine della storia dell’umanità, fra cui il premio Nobel per la pace Martin Luther King eredità universale incarnata nel suo famoso discorso dal titolo: I have a dream («I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin, but by the content of their character. I have a dream today!»)25 tenutosi il 28 agosto del 1963 davanti al Lincoln Memorial di Washington. In esso si esprimeva la speranza che un giorno la popolazione di colore avrebbe goduto degli stessi diritti dei bianchi. Discorso che è diventato simbolo della lotta contro il razzismo negli USA.
Ed ancora, il coraggioso operato di Rosa Louise Parks nota come “The Mother of the Civil Rights Movement”, per la sua difesa ai diritti dei neri, che venivano ancora una volta oppressi dai bianchi. Diritti che fra l’altro, saranno in seguito riconosciuti nel 1956 dalla Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, che decretò, all’unanimità, incostituzionale la segregazione razziale sui pullman pubblici dell’Alabama.
Ed infine, la preziosa eredità del premio Nobel per la pace nel 1993, Nelson Rolihlahla Mandela che lottò per la fine dell’apartheid in Sudafrica.
NOTE:
20Al riguardo si veda l’articolo di Michelle Ye Hee Lee, Donald Trump’s false comments connecting Mexican immigrants and crime, The Washington Post, 8 luglio 2015.
21Per approfondire di più sul caso Brown si consiglia di leggere l’articolo pubblicato dal quotidiano The New York Times, dal titolo What Happened in Ferguson?, 10 agosto 2015.
22Cfr. Il Messaggero, Charleston, Roof annunciò una strage ma nessuno lo prese sul serio, 20 giugno 2015; si veda inoltre, l’articolo di Frances Robles e Nikita Stewart, Dylann Roof’s Past Reveals Trouble at Home and School, The New York Times, 16 luglio 2015.
23Cfr.The White House, President Obama delivers a statement on the Shooting at the Emanuel AME Church in Charleston, South Carolina, 18 giugno 2015.
24Cfr. Antonio Monda, Ota Benga: un’America senza santi ed eroi, Mondadori, 2015.
25«Io ho un sogno, che i miei quattro figli piccoli vivranno un giorno in una nazione nella quale non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per ciò che la loro persona contiene. Ho un sogno, oggi!»: Martin Luther King.